Mostra "Il volto dell'altro"

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Eventi culturali
Dal 2014 la bellissima Chiesa di San Paolo ospita grandi nomi dell'Arte Contemporanea Italiana, sempre in organizzazione della Comunità degli Italiani del Montenegro in collaborazione con l'Università Popolare di Trieste, con i fondi della Regione FVG e con il patrocinio dell'Ambasciata d'Italia in Montenegro.

Dal 2014 la bellissima Chiesa di San Paolo ospita grandi nomi dell'Arte Contemporanea Italiana, sempre in organizzazione della Comunità degli Italiani del Montenegro in collaborazione con l'Università Popolare di Trieste, con i fondi della Regione FVG e con il patrocinio dell'Ambasciata d'Italia in Montenegro. Grande successo di pubblico all'inaugurazione della mostra "Il volto dell'altro" di Ugo Giletta, a cura di Marco Puntin. Appropriandosi della visione selettiva della lente fotografica, Ugo Giletta (1957, San Firmino di Revello, Cuneo) ha realizzato per anni, con la tecnica dell’acquerello a lui cara, una serie di lavori in cui la fascinazione del e per il corpo femminile era espressa senza filtri intellettualistici e senza giustificazioni o estremizzazioni di sorta. Quello che Giletta dipingeva era un corpo primitivo ed evoluto, che non aveva bisogno della “testa” per esprimersi, ma che si muoveva in virtù del linguaggio che gli è proprio. Le ombre di nero e grigio enfatizzavano le sinuosità e le posture senza compiacimento, ma con il rispetto assoluto per una bellezza naturale ed eterna. Avendo con questa serie raggiunto altissimi livelli d’espressività, Giletta ha poi voluto sondare, a partire dai primi anni del nuovo millennio, il territorio del pensiero puro, concentrandosi sul volto umano, espresso dalla ieraticità di facce, teste, volti che nella loro mancanza di forti caratterizzazioni non eliminano i sensi, ma li elevano a idea. Ora Giletta lavora quasi esclusivamente con il volto umano.

Protagoniste della mostra personale a Cattaro, sono un nucleo di tele di grande formato, volti dipinti ad acquerello, che come sostiene l’artista, non sono né maschera né ritratto, quanto piuttosto simbolo e rappresentazione. Ugo Giletta rifiuta qualsiasi riferimento aneddotico, ogni rimando letterario al tempo e al luogo, ad una concreta spazialità, a qualcosa di simbolico o culturalmente o storicamente identificabile. Sono teste e volti soli e isolati in uno spazio vuoto plasticamente indefinito, metaforicamente indefinibile e non contestualizzabile. Non sono ritratti e non sono rappresentazioni di una qualche identificabile persona. Sono impersonali ed estranianti, tangibili e muti. La loro enigmatica estraneità non si lascia catalogare o classificare in qualsiasi o qualsivoglia sistema. Sono semplicemente là, nella loro reale oggettività, senza spiegazione sulla propria appartenenza, sulla propria provenienza, sulla propria storia o sul proprio essere. Come la mancanza di tratti caratteristici personali e fisici della figura, così pure l’assenza di una conosciuta composizione cromatica della loro fisicità, li estranea da qualsiasi narratività. Loro stanno là, senza una storia propria, senza pathos e senza patria. Sono teste spesso senza orecchie e chiome, solo con cinque macchie o scuri fori per occhi, narici e bocca: cinque spazi elementari, a definire umbratilmente un ovale immortale.

Le forme di Ugo Giletta sono muti testimoni della nostra epoca che hanno trasformato in realtà “la povertà dell’esperienza umana”; il loro essere esprime questa condizione del mero esistere. Sono come raccoglitori che si possono osservare solo dall’esterno, ma il cui interno è ricco di contenuto. La loro forte dichiarazione poetica risiede appunto in questo loquace silenzio: sanno molto, hanno visto molto, sono state plasmate dagli avvenimenti e dagli eventi della nostra epoca, sono state formate dalla povertà. Il loro Essere in questa forma tangibile è testimone di un messaggio senza storie, senza aneddoti, senza ulteriori riferimenti letterari, la loro povertà è la loro forza, il loro Essere nudo, puro, reale, privo di pathos, rappresenta la loro autentica, discreta, sicura, dichiarazione: sono le forme del “nudo contemporaneo”.

E nonostante queste forme enigmatiche siano immobili e quasi senza volontà nello spazio vuoto, indefinito, o forse per essere più esatti vi sono state collocate, nonostante esse suggeriscano una certa atemporalità e una reale indifferenza, mantengono non di meno una tensione interiore, nascosta, un’incredibile latente energia che esse sembrano poter controllare. Come in un eterno stato d’attesa sono in un non-luogo, in un vuoto indefinito, anche se da un momento all’altro può accadere una trasformazione, ovvero un drammatico, essenziale mutamento di status, un radicale rovesciamento del proprio essere e della propria storia. Esattamente questa inquietante ambivalenza rende queste figure così suggestive ed interessanti, esattamente questa potenzialità latente di una storia vera le rende importanti per noi: portano con sé un messaggio, hanno un fondamentale significato per l’osservatore, suggeriscono la loro capacità di poterci comunicare qualcosa di essenziale, nonostante la loro indifferente, immobile realtà, nonostante il loro impenetrabile silenzio. Questo enigmatico, reale, suggestivo silenzio ha in sé qualcosa d’antico, arcaico, barbarico, qualcosa che ricorda le grandi esperienze condivise.

Trieste, giugno 2018​​​​​​
Marco Puntin